"Triage des Fleurs" |
(this is the Italian article. The english one is HERE ))
Quando si parla di profumi, è sufficiente dire “Italian Wave”
Un periodo nel quale ogni stilista e ogni “marca” si sentì in dovere di far uscire sul mercato almeno un profumo con il proprio nome. Il fattore di cui non si tiene conto è che tutto questo diluvio di profumi, di brands differenti, arrivò in un periodo magnifico e irripetibile, che la rivista FMR -all’epoca vero punto di riferimento culturale- non esitò a definire “il Nuovo Rinascimento Italiano”.
L’Italian Wave della profumeria fu un fenomeno che esplose nel 1982 (anche se iniziato in sordina un paio di anni prima), nel quale nel giro di pochi anni il mercato venne investito da una quantità strabiliante di nuovi prodotti, tutti “Made in Italy” o avendo come riferimento stilisti e produttori italiani. Questa ondata di piena sembrava non avere mai fine, cominciò a mostrare segni di stanchezza solo nella seconda metà degli anni Novanta, e si esaurì intorno al Duemila.
In questo ventennio vennero immesse sul mercato, letteralmente, dozzine, se non centinaia di profumi. Qualcuno si è preso anche la briga di calcolare i marchi: almeno cinquanta differenti nomi, ciascuno dei quali diede luogo a svariati profumi. Un diluvio inarrestabile. L’ondata italiana ebbe una serie di conseguenze, antitetiche tra loro, che possono apparire paradossali. Una delle conseguenze fu che dopo qualche anno il pubblico arrivò a stancarsi di tutti questi profumi che venivano riversati sugli scaffali a getto continuo. Una volta terminata “la moda”, tutta la merce invenduta venne gettata nei cestoni delle offerte delle profumerie, e messa in (s)vendita a prezzi ridicoli. Chi scrive ha ancora negli occhi lo spettacolo dei surplus di profumi italiani in offerta –letteralmente- a pochi spiccioli, arrivando al grottesco del “tre profumi, dieci euro”. Ancora fino a un paio di anni fa non era impossibile trovare flaconi intatti di prezioso “Gianni Versace pour femme” del 1982 nascosti dietro scaffali polverosi, in vendita a prezzi irrisori. Questo spettacolo dei profumi in svendita ha lasciato uno strascico deleterio nell’immaginario collettivo: “Vedi questi profumi che venivano lanciati in pompa magna, e adesso te li tirano dietro a questi prezzi ridicoli? Grandi profumi? Macchè! Profumetti dozzinali senza nessun pregio, ecco cos’erano!”
Ed è proprio qui l’aspetto paradossale: la stragrande maggioranza dei profumi Made in Italy degli anni ’80 e ‘90 era di un livello qualitativo -paragonato agli standard odierni- sconvolgente. Muschio di quercia come se piovesse. Vero castoreum a profusione. Iris di primissima qualità. Aldeidi straordinarie, appositamente preparate e selezionate in laboratorio. Rosa, gelsomino, vera lavanda di Grasse, senza risparmio.
Insomma, standard qualitativi di assoluta eccellenza. Qualcuno ha detto: “Il peggior profumo preparato negli anni ’80 sembra un gioiello, visto con gli occhi di oggi”. Qualcun altro, invece, ci è andato giù ancor più pesantemente: “Quelli che oggi parlano tanto di profumeria creativa, profumi di nicchia, fragranze artistiche, dovrebbero prima dare un’occhiata ai profumi che venivano fatti – e il modo in cui venivano realizzati- trent’anni fa”.
Come dargli torto? Ma come è stato possibile tutto questo?
Le risposte sono molteplici: tutto ciò è stato possibile grazie a tanti soldi a disposizione da investire (da parte dei produttori), tanti soldi da spendere (da parte del cliente), legislazioni in materia di profumi più elastiche, possibilità di utilizzare materiali senza restrizioni, un gusto raffinato, e, per finire, un periodo storico particolarmente favorevole e irripetibile.
Cosa è rimasto di quel periodo? Assai poco. E ancor meno rimarrebbe, se non ci fossero i testimoni di un’epoca tanto favolosa, che hanno avuto la fortuna di viverla in prima persona e, soprattutto, da protagonisti.
Roberto Garavaglia è uno di questi. Uno tra coloro che negli anni Ottanta e Novanta si trovò ad essere protagonisti di quell’epoca, avendo un ruolo di R&D all’interno della “Diana de Silva”, una delle maggiori industrie cosmetiche italiane dell’epoca.
Roberto Garavaglia, R&D, "Diana de Silva", 1988-2004 |
Ed è una vera fortuna per chi scrive queste righe averci scambiato quattro chiacchiere. Il cruccio maggiore di questa intervista è quello di essere durata pochi minuti: Roberto Garavaglia è un fiume in piena, innamorato dei tempi che furono, e capace di parlare per giorni interi, dei tempi in cui lo sfornare capolavori della profumeria era un’esercizio che riusciva con una facilità impensabile ai giorni d’oggi.
AM: Buongiorno, dottor Garavaglia!
RG: Buongiorno a lei!
AM: Oggi sulle maggiori testate internet e tra gli appassionati si parla spessissimo di “…quei magnifici profumi italiani di tanti anni fa”. Ecco, lei quell’epoca l’ha vissuta appieno e la conosce benissimo, essendone stato protagonista, non è vero? Avrebbe il piacere di parlarne per qualche minuto?
RG: Ma certamente, e anche con grande piacere. E’ stato un periodo che rammento molto volentieri. Irripetibile. Quando oggi ci vengono a dire “Ah, ma che bei profumi che c’erano una volta”, sorridiamo. E’ il miglior riconoscimento al nostro lavoro dell’epoca.
AM: Ecco, lei lavorava presso la “Diana de Silva”, una delle maggiori industrie cosmetiche italiane, e si occupava, tra i tanti settori, anche di profumi. Ci racconta a grandi linee come “nasceva” uno di quei grandi profumi che a distanza di tanti anni sono ancora ammirati ed apprezzati, magari dopo essere scivolati nell’oblio per qualche tempo?
RG: Per i singoli profumi c’è solo l’imbarazzo della scelta. Quello che rammento maggiormente, in retrospettiva, erano gli standard di qualità, di eccellenza, con i quali avevamo a che fare. Laboratori enormi, avveniristici, avanti con i tempi. Una maniera di lavorare splendida, dove la qualità e la bontà del prodotto era al primo posto. Avevamo già all’epoca la consapevolezza di star facendo le cose in maniera eccellente.
AM: Ma come nasceva un profumo, in dettaglio? La gente comune pensa che i profumi “Armani” o “Versace”, per esempio, venissero creati da Giorgio Armani e Gianni Versace in persona!, proprio loro, che per un attimo smettevano di disegnare abiti di alta moda e si dilettavano con provette ed alambicchi nel tentativo creare profumi magici…. Una visione molto romantica ma fuori dalla realtà, non è vero?
RB: Effettivamente. La creazione di un profumo seguiva tutt’altra strada. La prima cosa da fare era l’acquisto delle licenze. Significa che l’industria cosmetica, nel nostro caso “Diana de Silva” acquistava dallo stilista la licenza d’uso per i prodotti di cosmetica (creme, profumi), poi si rivolgeva alle industrie profumiere per il profumo vero e proprio, e infine commercializzava il profumo stesso. Erano le aziende cosmetiche a creare il profumo, non lo stilista in persona, anche se comunque veniva coinvolto nella fase iniziale e finale del progetto.
AM: facciamo un esempio in dettaglio. Ecco, parliamo di uno dei vostri marchi più celebri e conosciuti: Gianfranco Ferrè. Come avveniva la creazione di un profumo Ferrè?
RG: Innanzitutto si acquistava la licenza, per poter produrre qualcosa con il marchio “Ferrè” sulla scatola. Poi si contattavano le industrie produttrici di profumi, che all’epoca era numerose, anche se noi ne contattavamo solamente quattro o cinque, e si “commissionava” il profumo.
AM: cosa significa esattamente “commissionare” un profumo? E quali erano le industrie alle quali vi rivolgevate?
RG: le nostre industrie di riferimento erano Givaudan, IFF, Firmenich, Robertet. All’epoca le cose funzionavano così: dopo aver comprato la licenza, ci si metteva d’accordo con lo stilista, per fare un certo tipo di profumo da uomo o da donna, e con quali note. Meglio farlo agrumato o fruttato? Un chyprè o un fougere? Asciutto, secco oppure dolce? Maschile oppure unisex? Note animaliche, oppure no? Insomma si facevano delle proposte, si cercava di seguire le indicazioni di massima dello stilista. Dopodichè si andava dalle case produttrici (Givaudan, IFF, eccetera) e si diceva: vogliamo un profumo così e così, con questi toni, con queste note. Le industrie prendevano nota dei nostri desideri e dopo un certo periodo di tempo, non brevissimo, ci portavano un certo numero di campioni tra i quali scegliere il “nostro” profumo definitivo.
AM: …e di solito quanti campioni vi portavano, tra i quali scegliere?
RG: Questo dipendeva da caso a caso. Per i profumi meno impegnativi ci trovavamo a scegliere tra dieci campioni, per quelli più importanti ci arrivavano trenta campioni differenti. E ci toccava sceglierne uno, fra trenta differenti profumi.
AM: come avveniva il processo di scelta?
RG: Parliamo sempre degli anni Ottanta e Novanta. Supponiamo che ci arrivassero trenta campioni differenti. Erano tutti in concentrazione di “Profumo”, quindi noi li diluivamo in alcool per farli assumere la concentrazione di “Eau de toilette”, e lasciavamo a macerare a temperature di frigorifero (5 gradi centigradi) per un mese. Dopodiché filtravamo per eliminare i residui vegetali e finalmente…
AM: “Residui vegetali”? quindi i profumi erano prodotti con sostanze naturali…
RG: Ovviamente. Fermo restando che la chimica era sempre preponderante, nondimeno all’epoca l’utilizzo di sostanze naturali era la norma. Dicevo, una volta filtrata la EdT , veniva ripartita in flaconcini spray da 30 ml e sottoposta all’esame da parte di alcuni dipendenti dell’azienda. Una scelta “democratica”, se vogliamo. La direzione artistica, che aveva comunque l’ultima parola, ci faceva provare i campioni per sapere il nostro parere. Venivano quindi compilate delle schede che al termine venivano raccolte e valutate dal Direttore Artistico. Praticamente noi provavamo tutti i campioni inviatici dalle industrie e dicevamo: per me il migliore è questo. No, quest’altro. Questo non mi piace. Questo è bello ma non avrà successo perché è troppo particolare. La Direzione artistica, che era dotata un'esperienza elevata in termini di valutazione delle note olfattive, valutava i risultati, soppesava, meditava, elaborava, e alla fine sceglieva, dopo aver provato su se stesso tutte le essenze selezionate.
AM: ..un modus operandi d’altri tempi…..
RG: Assolutamente. Potevamo permettercelo, d’altronde. Potevamo lavorare con calma. C’era il timore di immettere sul mercato un profumo di bassa qualità, che non avrebbe avuto successo e ci avrebbe potuto creare grossi danni economici, e quindi andavamo con i piedi di piombo. Il profumo scelto era -con ottima probabilità- un “buon profumo".
AM: Ma erano anche altri tempi, con maggiori possibilità economiche, con legislazioni meno restrittive, con clienti che avano anche maggior possibilità economiche.... E comunque tornando alla domanda, alla fine eravate essenzialmente voi a scegliere il profumo, e lo stilista non aveva niente da ridire.
RG: In linea di massima era così. Una volta scelto il profumo, veniva presentato allo stilista il quale, di norma, non aveva lamentele di sorta. Sapeva che eravamo professionisti, sapeva che i produttori erano persone serie e i prodotti di alta qualità. Accettava tranquillamente il nostro parere.
AM. Diciamolo tranquillamente: i profumi erano così buoni, così notevoli, che praticamente nessuno in buona fede, poteva dire: “ma no, che profumo orribile!”
RG: In qualche raro caso il profumo veniva scelto da un naso famoso, senza passare attraverso la “prova dipendenti” come ad esempio accadde per il profumo Byblos da donna, quello con la boccetta blu con incastonata la rosa del deserto. E comunque non finiva qui: ad esempio, Ferrè era esigentissimo e in quanto tale valutava tutto il progetto, dal packaging al profumo. Una volta capitò, ricordo, con il profumo “Gieffeffe”, che rimase molto scontento dal pescante della pompa spray a suo dire troppo visibile, e pose il suo veto alla commercializzazione: sembrava una cosa troppo dozzinale, voleva lo spray trasparente, invisibile. Incredibile ma vero: dovemmo cambiare la pompa di tutta fretta, con il terrore che qualcosa andasse storto perché non avevamo fatto la prova di stabilità delle plastiche. Per fortuna andò a finire tutto bene.
AM: ???? come sarebbe a dire prova di stabilità delle plastiche?
RG: Eh! sarebbe a dire che ogni profumo o cosmetico lo mettevamo a contatto con le plastiche del flacone o della pompa spray per vedere se il profumo fosse “corrosivo” per i materiali stessi. In questo caso sarebbe stato un disastro. Il profumo lentamente scioglieva le plastiche e diventava maleodorante. Il pericolo era che il cliente si spruzzasse addosso un residuo di materiale plastico misto al profumo. Niente di pericoloso per carità, ma dal punto di vista di immagine e commerciale sarebbe stata una rovina.
AM: Un lavoro realmente accurato…
RG: le dirò un’altra cosa: quello che era davvero stupefacente, persino per noi, erano le prove climatiche. Alla "Diana de Silva" avevano degli strumenti, all’interno dei quali venivano riprodotte le varie condizioni climatiche del pianeta Terra: secco, umido, polare, continentale… in modo da studiare come potesse reagire un cosmetico in ogni condizione climatica possibile.
AM: …e tutto questo accadeva durante l’età dell’oro, e poi?
RG: Eh, e poi l'epoca d'oro, come tutte le cose, ebbe un termine.
La situazione economica generale cambiò, le leggi divennero più restrittive, i costi aumentarono, tutte le spese andavano centellinate… ad un certo punto anche i fornitori dei flaconi di vetro, per ridurre le spese, adottarono all’incirca tutti lo stesso tipo di flacone standard. Purtroppo anche oggi la qualità c'è, ma si trova a dover fare i conti con molte difficoltà, vuoi di natura legislativa, vuoi di costi che vanno lievitando sempre più.
La situazione economica generale cambiò, le leggi divennero più restrittive, i costi aumentarono, tutte le spese andavano centellinate… ad un certo punto anche i fornitori dei flaconi di vetro, per ridurre le spese, adottarono all’incirca tutti lo stesso tipo di flacone standard. Purtroppo anche oggi la qualità c'è, ma si trova a dover fare i conti con molte difficoltà, vuoi di natura legislativa, vuoi di costi che vanno lievitando sempre più.
AM: Domanda secca: mi dica un paio di differenze tra ieri e oggi nel campo della cosmetica o della profumeria.
RG: Vent’anni fa per ogni linea cosmetica si producevano venti prodotti differenti: EdT, EdP, Estratto, crema, sapone, eccetera. Oggi, è già tanto se si produce una crema giorno e una crema notte! Per quanto riguarda la profumeria: se oggi si commissiona un profumo alla casa produttrice di fragranze, difficilmente c'è l'invio di numerosi campioni tra i quali scegliere. A volte viene preparato direttamente il profumo finale.
AM: una curiosità visto che il tempo sta per scadere: gli appassionati si domandano talvolta, a quanto ammonti la “tiratura” di un profumo. Nel 2013 è stato dichiarato che “Fame”, il profumo di Lady Gaga, avesse raggiunto il traguardo di sei milioni di flaconi venduti in pochi mesi….
RG: Le nostre cifre erano certamente più contenute! Per un profumo potevamo arrivare a diecimila flaconi al momento del lancio. Poi, se arrivava il successo, si aumentava la “tiratura”…
AM: una curiosità mia, personale, essendo un grande appassionato di “Bugatti”, un profumo che sul Web è stato definito, a mio avviso a ragione, “lo Shalimar pour homme”, prodotto da Diana de Silva nel 1992. Ecco, la prima versione l’ho sempre trovata un profumo fuori dal mondo, con quel triplo accordo "agrumi- vaniglia- note animaliche", mai più visto né sentito da nessuna altra parte. Potrebbe dirmi qualche cosa in proposito?
RG: “Bugatti” lo ricordo bene, anche perché della linea cosmetica me ne occupai personalmente. Era giocato su un insieme contrastante di agrumi differenti, che terminava alla fine con un trionfo di castoreum. “Bugatti” cominciava in un modo, evolveva in altro modo, infine terminava in altro modo ancora. Una vera evoluzione sulla pelle maschile. Roba d’altri tempi.
"Ettore Bugatti", first edition (1992-1999) Denominato dai fans "Shalimar pour Homme", era caratterizzato da un accordo insolito di agrumi, vaniglia e castoreum, con una evoluzione lunghissima |
AM: Un’ultima domanda. Retrospettivamente, e sinceramente: ci sono stati profumi da voi prodotti che potrebbero essere definiti realmente favolosi? Se sì, quali?
RG: Fermo restando che molti dei campioni che non hanno mai visto la luce perché scartati in fase di scelta erano davvero straordinari…. che peccato che non siano mai entrati in produzione!, beh, io rammento in maniera particolare tre profumi.
Il primo fu “Genny”, ce lo costruì Firmenich, lo lanciammo nel 1987. Il meno che si possa dire è che fosse spiazzante.
Il secondo era un gioiello che non fu mai riconosciuto come tale: il “Ferrè by Ferrè” da donna, aveva un flacone incredibile a forma di bomba a mano, nero, rivestito con una sorta di calza a rete. Quello era un profumo eccezionale, in grado di annichilire qualsiasi profumo di nicchia odierno. Ricordo che un giorno uscì un numero di una rivista tecnica, destinata agli operatori del settore, dove era riportato che “Ferrè by Ferrè” era un profumo talmente rivoluzionario che non si poteva nemmeno catalogare. Se vi capita di sentirlo, fateci caso: le aldeidi di apertura di “Ferrè by Ferrè” erano non solamente straordinarie, ma uniche.
La "Bomba a Mano", (Ferrè by Ferrè, 1991) un profumo di qualità inarrivabile. La stampa specializzata lo definì talmente rivoluzionario da essere "incatalogabile". |
E il terzo profumo, era il più straordinario di tutti….. e beh, purtroppo non lo ha mai sentito nessuno. IFF ne produsse solo cento flaconi-sculture, in vetro di Murano, per uso esclusivo di Roberto de Silva, il capo dell’azienda, che lo regalò a persone di un certo livello. Si chiamava “Divina” (da non confondere con l’omonimo profumo che venne messo in commercio, con lo stesso nome ma differente in composizione), un nome che era tutto un programma. Non ho mai sentito un profumo del genere e forse non lo sentirò mai più. Ricordo che un giorno lo provammo in ufficio. La sera, tornando a casa, la gente mi fermava per strada chiedendomi cosa fosse quel profumo che sembrava provenire direttamente dal Paradiso. Dico: la gente che mi fermava per strada! Mai successo niente del genere. Avete presente la storia di Grenouille, il protagonista del romanzo “Profumo”, di Patrick Suskind, nella scena finale? Quando viene esibito un profumo di fronte al quale nessuno può rimanere indifferente? Ecco, sembrava la stessa cosa. Non me lo dimenticherò mai più. Forse, era il profumo più straordinario che fosse mai stato creato.
AM : grazie mille, e a risentirci presto!
RG: Alla prossima!
AM : grazie mille, e a risentirci presto!
RG: Alla prossima!
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